Rechnitz: duecento ebrei uccisi per allietare una festa

Margit Thyssen

 

Margit Thyssen
Margit Thyssen

Rechnitz: duecento ebrei uccisi per allietare una festa

 

L’Eccidio di Rechnitz. Duecento internati ebrei vennero massacrati, per puro divertimento, da degli assassini festanti che intendevano provare emozioni più forti di quelle concesse loro dall’abuso di alcolici e dal sesso estremo. La contessa Margit Thyssen, appartenente alla nota famiglia dei re dell’acciaio, nel marzo del 1945 organizzò una festa in uno dei suoi castelli. Dove invitò alcuni membri del partito nazista.  Le truppe sovietiche si trovavano ormai a quindici chilometri dal castello. Pertanto, la maggiore delle loro preoccupazioni avrebbe dovuto essere fuggire dalla cittadina di Rechnitz, situata al confine tra l’Austria e l’Ungheria, in modo da non correre il rischio di essere catturati dai sovietici. Ciò nonostante si volle dedicare una notte alla perversa emozione di trucidare dei propri simili inermi e indifesi.

I legami tra la famiglia degli industriali Thyssen e le gerarchie naziste erano molto stretti. Infatti, i Thyssen finanziavano il regime tramite la loro banca e le loro industrie erano impegnate nello sforzo bellico. L’acciaio che producevano permetteva l’allestimento delle truppe corazzate tramite le quali si stava dissanguando l’Europa.

La famiglia Thyssen
La famiglia Thyssen

L’Eccidio di Rechnitz

 

Nel marzo del 1945 la contessa Margit Thyssen organizzò un ricevimento invitando una quarantina di persone. In massima parte esponenti delle SS, della Gestapo e della Gioventù Hitleriana. In un’Europa ormai ridotta alla fame alla festa non mancavano le più ricche libagioni e i vini più ricercati. Verso mezzanotte Franz Podezin, un membro della Gestapo, fece giungere da un vicino campo di lavoro duecento internati ebrei. I quali erano impegnati nella costruzione di un vallo che, nelle intenzioni deliranti di Hitler,  avrebbe dovuto impedire l’avanzata dell’Armata Rossa. Podezin armò gli ospiti al ricevimento per poi incitarli affinché partecipassero al massacro. Venne ordinato agli ebrei di spogliarsi e di mettersi in file, in modo che fosse più agevole procedere al loro sterminio tramite delle armi da fuoco. Il giorno dopo alcuni degli invitati si vantò del fatto di aver provveduto all’omicidio di alcuni  internati agendo direttamente a mani nude. Dei duecento ebrei ne vennero risparmiati quindici. In modo che provvedessero all’interramento delle vittime. Successivamente i sopravvissuti furono condotti al mattatoio comunale dove Franz Podezin e Joachim Oldenburg, un membro del partito nazista locale, provvedettero alla loro eliminazione. Affinché non vi fosse il rischio che vi fossero dei testimoni.

 

Nel dopoguerra i responsabili dell’eccidio riuscirono a sottrarsi alla giustizia umana. La contessa Thyssen si ritirò in Svizzera. Franz Podezin fuggì nella Repubblica Sudafricana; mentre Joachim Oldenburg si rifugiò in Argentina. La contessa riuscì a fare in modo che non si riuscisse mai a predisporre un processo nei suoi confronti. Ebbe addirittura l’ardire di ritornare nei luoghi del massacro per partecipare a una battuta di caccia. Chi la conosceva sosteneva che fosse smisurato il piacere che provava quando riusciva a uccidere un animale. Era anche molto appassionata di sedute spiritiche ornate dall’uso di stupefacenti e da pratiche orgiastiche violente. Tali passioni avevano fatto sì che venisse da molti indicati come la “Signora dell’Inferno”.  Morirà nel 1989.

Solamente pochi dei partecipanti al massacro vennero processati e furono condannati a pene molto miti:  Ludwig Groll fu condannato a 8 anni di reclusione ( dei quali 3 condonati); Jodef Muralter a 5 anni e Eduard Nieka a 3 anni.

Quando la giustizia internazionale chiamò a rispondere i responsabili dei gravissimi crimini compiuti durante la Seconda Guerra Mondiale la più comune delle giustificazioni fu: “mi sono limitato a obbedire a degli ordini”. Molto dubbia è la liceità di questa scusante. Per fugare molti dubbi è sufficiente la lettura del libro “I volenterosi carnefici di Hitler” scritto da Daniel Goldhagen. Consultando quelle pagine è possibile apprendere che milioni di europei erano a conoscenza della Shoah. Prendendone parte con lugubre entusiasmo.

Nel caso dell’eccidio di Rechnitz i responsabili non potevano neanche addurre, a loro discolpa, il fatto di esservi stati costretti da ordini superiori. Infatti Il massacro che commisero era indotto esclusivamente dalla loro disumanità.

Il castello in cui venne compiuta la strage venne distrutto da un incendio. Non vi è certezza se ad appiccare il fuoco furono gli autori dell’eccidio, desiderosi di distruggere le prove della loro colpevolezza. Oppure se le cause sono da ricercarsi negli scontri tra le truppe tedesche in ritirata e l’Armata Rossa. Oggigiorno una lapide ricorda il luogo del massacro e, ogni anno, una associazione austriaca si occupa di celebrare il ricordo di quelle vittime.

Castello di Rechnitz
Castello di Rechnitz

CONCLUSIONI

La scrittrice tedesca Hannah Arendt, nel suo capolavoro “La banalità del male”, espone delle interessanti analisi conseguenti all’aver assistito al processo istituito, in Israele, nei confronti del criminale nazista Adolf Eichman. Uno degli organizzatori della Shoah. Un uomo mediocre, di scarsa cultura nonostante provenisse da una famiglia che gli avrebbe potuto garantire degli ottimi studi. Un uomo che si dimostrava zelante sul lavoro per compiacere i propri superiori. La Arendt, occupandosi della genesi del Male, individua come una delle cause il fatto di essere uno strumento insensibile asservito a un regime totalitario.

Nel caso di Margit Thyssen, invece, il Male sembrerebbe scaturire direttamente dalla propria coscienza. Senza alcun contributo esterno.

Ritengo che noi esseri umani siamo molto propensi quasi a giustificare le manifestazioni del Male. Nel senso di cercarne delle giustificazioni razionali. Una di queste è la malattia mentale. Infatti, non vi è alcun dubbio sul fatto che alcune persone compiano gesti efferati a causa di gravi problemi psichiatrici. Però, purtroppo, occorre considerare che manifestazioni del Male possano esistere anche al di fuori dei casi clinici. Nel Novecento il Male si è rilevato, tra i molti casi, nelle persecuzioni nazifasciste, nelle “Purghe” staliniane, nei massacri orditi in Cambogia dal regime psicopatico di Pol Pot, nelle migliaia di desaparecidos trucidati dalle dittature argentine e cilene.

Margit Thyssen, probabilmente, apparteneva a quella categoria di persone dove la componente malvagia supera di gran lunga quella benevola. Ritengo che non vi sia assolutamente la necessità di addurre una componente metafisica citando il Diavolo. L’essere umano, purtroppo, è in grado di compiere le azioni più crudeli affidandosi esclusivamente al suo lato peggiore.

L’efferatezza di Margit Thyssen e dei suoi sodali non deve però assolutamente essere una condanna del popolo tedesco. Infatti in questo blog dedico un articolo alla Rosa Bianca. Un gruppo di giovani tedeschi che si opposero con grande coraggio al nazismo.

 

Come conclusione di questo articolo dedicato all’Eccidio di Rechnitz riporto alcune righe estrapolate dal libro “La banalità del male” di Hannah Arendt.

“Quel che ora penso veramente è che il male non è mai ‘radicale’, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo  intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso ‘sfida’  come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere  la profondità, di andare alle radici, e nel momento  in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua ‘banalità’. Solo il bene è profondo e può essere radicale.”

BIBLIOGRAFIA

“La danza macabra dei Thyssen” di David Litchfield

“Le bestie di Rechnitz” di Sacha Batthyany

“La banalità del male” di Hannah Arendt

“I volenterosi carnefici di Hitler” di Daniel Goldhagen

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