L’ Impresa di Alessandria. Una sfida leale nella disumanità della Seconda Guerra Mondiale

Impresa di Alessandria
Impresa di Alessandria

INTRODUZIONE

L’”Impresa di Alessandria” dimostrerebbe, secondo alcuni, come gli italiani nella loro propensione per l’individualismo riescano a essere maggiormente risoluti quando agiscono da soli, o in piccoli gruppi. Rispetto a quando operano inseriti in organizzazioni numerose. Forse, però, è un po’ azzardato proporre un’interpretazione sociologica di quel che avvenne, nel porto di Alessandria d’Egitto, nella notte tra il 18 e il 19 dicembre del 1941. Quando sei palombari della marina italiana avvalendosi di siluri a lenta corsa, i cosiddetti “maiali”, affondarono le due navi da battaglia “Queen Elizabeth” e “Valiant”. Oltre a danneggiare il cacciatorpediniere “Jervis” e la nave cisterna “Sagona”. La marina britannica, quella notte, subì talmente gravi danni da essere comparabili con quelli di una sconfitta in mare aperto. Le navi e i sommergili italiani non erano mai riusciti a provocare tali danni all’avversario. La marina italiana annoverava, nella sua storia, alcune pesanti sconfitte. A partire dalla Battaglia di Lissa, nel 1866, fino alla Battaglia di Capo Matapan del marzo 1941. Sei uomini trasportati da un sommergibile poi divenuto quasi leggendario, lo Scirè, fecero in modo che a partire da quella notte si potesse attribuire una netta vittoria alla marina italiana.

Il primo ministro britannico Winston Churchill, cavallerescamente definì l’“Impresa di Alessandria” come “Uno straordinario esempio di coraggio e genialità” e chiosò:

“…sei italiani equipaggiati con materiali di costo irrisorio hanno fatto vacillare l’equilibrio militare in Mediterraneo a vantaggio dell’Asse.”

 

All’ “Impresa di Alessandria” parteciparono militari che, dopo l’armistizio dell’otto settembre del 1943, si schierarono su fronti opposti. Nel 1941 presumo che tra loro non vi fossero delle contrapposizioni ideologiche. Fedeli all’onore del soldato combattevano per la propria nazione. La notte dell’impresa il loro obiettivo consisteva nel ridurre il potenziale della marina britannica. Come si vedrà nel prosieguo dell’articolo, vi era da parte loro anche lo scrupolo di evitare di pregiudicare la vita dei marinai avversari.

L’IMPRESA DI ALESSANDRIA

Nella notte tra il 18 e il 19 dicembre 1941 il sommergibile Scirè comandato dal tenente di vascello Junio Valerio Borghese riuscì, destreggiandosi tra le mine posizionate dai britannici, ad avvicinarsi al porto di Alessandria d’Egitto. Dove stazionavano alcune tra le più importanti navi che la Gran Bretagna avevo dislocato nel Mar Mediterraneo.

I sei palombari
I sei palombari

Dal sommergibile fuoriuscirono sei palombari. I loro nomi erano: Emilio Bianchi, Luigi Durand de la Penne, Antonio Marceglia, Mario Marino, Vincenzo Martellotta, Spartaco Schergat.

A coppie si posizionarono sui tre siluri a lenta corsa che avevano a disposizione.

Tali dispositivi avevano la forma di un siluro. Sul quale si posizionavano due subacquei muniti di respiratore. Il loro obiettivo era quello di applicare una carica esplosiva alla carena delle navi avversarie.

Attesero l’arrivo di alcune cacciatorpediniere britanniche in modo che venisse aperto un varco nelle rete di protezione. Così riuscirono a entrare nel porto e ogni coppia si diresse verso il bersaglio predefinito.

Durand de la Penne e Bianchi si diressero verso la nave “Valiant”.

Non vi è alcuna documentazione storica, ma alcuni asseriscono che il dialogo tra i due prima di partire fosse stato:

Durand de la Penne: “Come va Bianchi?”

Bianchi: “Bene comandante”

Durand de la Penne: “Hai paura?”

Bianchi: “Si comandante”

Durand de la Penne: “Anch’io, Bene, andiamo!”

 

Bianchi venne colpito da un malore indotto dal malfunzionamento del respiratore. Comunque, Durand de la Penne riuscì lo stesso a posizionare la carica esplosiva sotto la carena della nave. Quando riemersero vennero catturati. Furono subito rinchiusi in una stanza che si trovava sotto la linea di galleggiamento della nave. Quasi certamente i britannici intendevano metterli sotto pressione affinché rilevassero la posizione della carica esplosiva. Entrambi si rifiutarono di collaborare. Tuttavia, mezz’ora prima dell’esplosione Durand de la Penne avvertì il comandante della nave di farla evacuare. Con l’esplosione i due riuscirono a uscire dal locale dove erano rinchiusi e si unirono ai marinai britannici che stavano evacuando la “Valiant”. Grazie a quell’avvertimento nessuno dei 1700 marinai imbarcati perse la vita.

Martellotta e Marino si diressero verso la nave cisterna “Sagona”. Le condizioni nella quali operavano erano talmente estreme che anche Martellotta ebbe un malore. Comunque, riuscirono a posizionare la carica e quando esplose oltre alla nave cisterna venne danneggiato anche il cacciatorpediniere “Jervis”, ormeggiato accanto a essa. Anche loro vennero subito catturati.

Marceglia e Schergat agganciarono la carica esplosiva alla carena della “Queen Elizabeth”. Quando esplose i due si erano già allontanati evitando così la cattura. La loro, fuga, però fu breve perché vennero notati a causa di un banale errore. Tentarono infatti di fare degli acquisti utilizzando delle banconote che non avevano più corso legale. Scoperti provarono a fingere di essere dei marinai francesi, ma vennero arrestati.

I siluri a lenta corsa
I siluri a lenta corsa

Tutti e sei furono internati in un campo di prigionia finché, con l’armistizio dell’otto settembre del 1943, l’Italia cambiò praticamente schieramento. Vennero quindi liberati in modo che potessero operare con le forze armate che cooperavano con gli anglo-americani. Emilio Bianchi non venne rilasciato dal campo di prigionia perché soffriva per le conseguenze del grave malore avuto durante l’impresa. Pertanto, veniva assistito e curato.

Il conte Junio Valerio Borghese, l’indomito comandante del sommergibile Scirè, dopo l’armistizio si schiero con la Repubblica Sociale di Mussolini. Il suo reparto, la “X Mas”, divenne un reparto che si macchiò di gravi crimini. Terminato il conflitto il conte si mantenne sempre su posizioni molto reazionarie. Nel 1970 venne anche accusato di aver tentato un colpo di stato, il cosiddetto “Golpe Borghese”, volto ad abbattere il legittimo governo democratico. Su tale avvenimento vi sono ancora alcuni punti da chiarire.

Tutti e sei vennero decorati con la medaglia d’oro. A Luigi Durand de la Penne tale decorazione gli venne appunta al petto, nel 1945, da Sir Charles Morgan. L’ex comandante della “Valiant”. Sicuramente un leale riconoscimento a un ex-avversario che, quattro anni prima, si era premurato affinché i marinai imbacati non venissero coinvolti nell’affondamento. In seguito all’”Impresa di Alessandria” i marinai britannici che persero la vita furono otto. Un numero elevato se giustamente si considera la sacralità di ciascuna vita umana. Ma limitatissimo se si valuta la rilevanza dell’operazione militare compiuta.

 

CONCLUSIONI

La marina italiana difficilmente avrebbe potuto competere con quella britannica. Nonostante avesse alcune navi all’avanguardia era del tutto priva del radar. I britannici, invece, grazie a questo strumento tecnologico avevano la possibilità di ingaggiare un combattimento anche la notte. Inoltre, i britannici avevano un’organizzazione non sclerotizzata come quella italiana. La quale imponeva che, durante una battaglia, le decisioni salienti dovessero essere prese da Supermarina, pertanto dallo stato maggiore. Privando così i comandanti delle navi della necessaria autonomia.

Consapevole di tali limiti aveva sviluppato gli strumenti atti a quella che, oggigiorno, verrebbe definita “guerra asimmetrica”. Pertanto, armamenti poco costosi in grado di arrecare all’avversario dei danni ragguardevoli.

Già durante la Prima Guerra Mondiale era stati approntati i MAS (Motoscafo Armato Silurante). Delle piccole imbarcazioni dotate di siluri. Tra le varie imprese da ricordare vi è, nel 1918, l’affondamento della corazzata austro-ungarica “Szent István”.

 

Alcuni storici militari collegano gli incursori della Seconda Guerra Mondiale ai marinai che operavano con i MAS durante il primo conflitto. Altri invece allacciano l’audacia degli incursori con quella dei cosiddetti “Caimani del Piave”. Quest’ultimi erano dei marinai che, durante la Prima Guerra Mondiale, attraversavano a nuoto i fiumi per compiere azione di sabotaggio nei confronti dell’avversario.

 

Oggigiorno gli eredi di quegli intrepidi sono gli incursori dei COMSUBIN. Un reparto di élite composto da militari altamente addestrati. I quali, molte volte, operano in totale segretezza guadagnandosi la stima da parte delle forze speciali delle altre nazioni.

 

BIBLIOGRAFIA

“La notte di Alessandria e Luigi Durand de la Penne” di Carlo Barbieri

“Così affondammo la Valiant” di Luciano Garibaldi e Gaspare di Sclafani

5 Risposte a “L’ Impresa di Alessandria. Una sfida leale nella disumanità della Seconda Guerra Mondiale”

  1. Emilio Bianchi è morto pochi anni fa. Un settimanale inglese ha pubblicato un lungo articolo a ricordo dell’antico e valoroso nemico. In Italia non mi risulta che bbia avuto alcuna celebrazione.

  2. 1. vorrei innanzitutto rettificare che SLC sta per Siluro a LUNGA Corsa: battezzato così dai suoi inventori (Tesei e Toschi) e così chiamato dalla Regia Marina. È un errore comunque comune chiamarlo a Lenta, un termine gergale, intervenuto non si sa bene da chi e così rimasto in uso dal 43/44 in poi. (se vuole le faccio avere copie di documenti ufficiali della Regia Marina al riguardo).
    2. Bianchi rimase nei campi di prigionia alleati sino al 1945 per il semplice fatto che non volle aderire alla Monarchia che si schierò con gli alleati dopo il “finto” armistizio dell’8 settembre. E dico finto in quanto i documenti ufficiali e anche tutta la stampa internazionale ha sempre e giustamente chiamato col suo vero nome questo voltafaccia e cioè RESA INCONDIZIONATA. Tant’è che gli alleati chiamarono (in senso dispregiativo) questo modo di comportamento italiano (Savoia e Badoglio) “to Badogliate”.
    3. Junio Valerio dei principi Borghesi non era conte ma principe, appunto.
    4. La X Flottiglia Mas non ha mai partecipato a rastrellamenti tout-court” contro altri italiani, e quando successe nei rarissimi casi, di fatto reagiva contro chi, per prima, aveva attaccato a tradimento i suoi uomini: come quando vennero impiccati dei marò della X con una forca troppo bassa e pertanto per avere efficacia l’impiccagione da parte di presunti partigiani gli stessi marò, da vivi, vennero amputati della parte inferiore delle gambe all’altezza delle ginocchia (difficile poi capire se morirono prima per strozzamento o dissanguamento). Ricordo, giusta sentenza del Tribunale Supremo Militare Italiano del 1954 che mentre riconosceva tutti i reparti della RSI come reparti militari combattenti, la stessa qualifica non è stata mai riconosciuta alle bande partigiane.

  3. 1. vorrei innanzitutto rettificare che SLC sta per Siluro a LUNGA Corsa: battezzato così dai suoi inventori (Tesei e Toschi) e così chiamato dalla Regia Marina. È un errore comunque comune chiamarlo a Lenta, un termine gergale, intervenuto non si sa bene da chi e così rimasto in uso dal 43/44 in poi. (se vuole le faccio avere copie di documenti ufficiali della Regia Marina al riguardo).
    2. Bianchi rimase nei campi di prigionia alleati sino al 1945 per il semplice fatto che non volle aderire alla Monarchia che si schierò con gli alleati dopo il “finto” armistizio dell’8 settembre. E dico finto in quanto i documenti ufficiali e anche tutta la stampa internazionale ha sempre e giustamente chiamato col suo vero nome questo voltafaccia e cioè RESA INCONDIZIONATA. Tant’è che gli alleati chiamarono (in senso dispregiativo) questo modo di comportamento italiano (Savoia e Badoglio) “to Badogliate”.
    3. Junio Valerio dei principi Borghesi non era conte ma principe, appunto.
    4. La X Flottiglia Mas non ha mai partecipato a rastrellamenti tout-court” contro altri italiani, e quando successe nei rarissimi casi, di fatto reagiva contro chi, per prima, aveva attaccato a tradimento i suoi uomini: come quando vennero impiccati dei marò della X con una forca troppo bassa e pertanto per avere efficacia l’impiccagione da parte di presunti partigiani gli stessi marò, da vivi, vennero amputati della parte inferiore delle gambe all’altezza delle ginocchia (difficile poi capire se morirono prima per strozzamento o dissanguamento). Ricordo, giusta sentenza del Tribunale Supremo Militare Italiano del 1954 che mentre riconosceva tutti i reparti della RSI come reparti militari combattenti, la stessa qualifica non è stata mai riconosciuta alle bande partigiane.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.